Alessandro Vinciarelli
Pensavate che produrre virus e malware allo scopo di danneggiare il prossimo, sottrarre denaro e quant’altro fosse un reato universale? Sbagliato! Non in tutto il mondo, infatti, il cyber crimine è punito e, a seconda della nazione, anche le norme in questo ambito sono profondamente differenti.

Il recente caso di Kyoto ne è una conferma. Nella fattispecie è successo che alcuni virus writer sono stati fermati per sospetta diffusione di codice maligno per mezzo di Internet e in particolare di strumenti P2P.

Le persone fermate, tre per l’esattezza, avevano diffuso, per mezzo della rete di file sharing Winny, un trojan che mostrava agli utenti che lo scaricavano le immagini di un famoso cartone animato giapponese. Il codice malizioso, battezzato Harada, è analogo a differenti altri malware Internet tra cui Pirlames, individuato da Sophos e diffuso nello scorso anno sul Web.

Una volta “catturati” hanno confessato di aver ideato tutto, dalla codifica fino alla diffusione sul Web. Che succederà quindi? Probabilmente, a causa di un buco normativo, i protagonisti della vicenda subiranno la stessa sorte di altri analoghi virus coder giapponesi, ovvero verranno incriminati di violazione del copyright e nient’altro.

Come abbiamo visto non c’è nessuna armonia di comportamento da parte delle nazioni sul problema cyber-crimine. Questo fatto, anche se non ha causato danni irreparabili, è la dimostrazione che non esistono una legge comune o delle linee guida per combattere le minacce informatiche.